L’elaborazione del menù è la parte più complicata e strategica del lavoro di uno chef, contrariamente a quanto comunemente si crede. Capita spesso che si pensi che mettere insieme una serie di piatti stupefacenti o con ingredienti raffinati sia garanzia del menù perfetto. E invece perdere di vista il costo del piatto finito equivale a garanzia di perdita economica. Non un gran risultato per un ristoratore.

Invece il menù è un racconto, è la storia dell’esperienza che lo Chef – e di conseguenza il ristorante – vuol far vivere al cliente. Al di là della filosofia e della poesia, deve essere fatto di selezione di materie prime, di target e di food cost.

Il mio menù ideale, oggi, è contemporaneo e con un linguaggio internazionale. Per le materie prime, parla della Puglia di oggi, (dove risiedo buona parte dell’anno) meta di turismo internazionale e valutata come la più bella regione italiana, da National Geographic. Mi piace mixare tecniche orientali – come la cottura tataki e il tempura – e sapori occidentali e metterci sempre anche un po’ anche di Milano, come i risotti, su cui so il fatto mio. In una competizione a Milano, diversi anni fa, quando collaboravo con lo storico Ülmet, che oggi purtroppo non esiste più, ho incassato l’apprezzamento del maestro Marchesi e questo vale più di tante chiacchiere.

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