A volte ritornano. Ritornano i ricordi e le esperienze fatte, i procedimenti imparati, i piatti gustati e cucinati, infinite volte. Il passato, a volte ritorna, con la sua carica di nostalgia e di esperienza e di quello che, oggi, è il mio know how, come dicono quelli bravi. La cucina professionale per me è legata agli Stati Uniti, a quei 4 anni e mezzo vissuti pericolosamente, con la testa dei 18 anni e il mito della California. La mia San Francisco di oggi, è un mix di Milano (con i suoi rumori assordanti, ma anche con le sue mode, che sono già tendenza, prima che, altrove, se ne senta parlare) e di Alto Salento, che è il mio buen retiro, dove provo a sperimentare. Non è un caso se proprio a San Vito, a Fasano e a Monopoli ho cucinato giapponese, messicano, peruviano e anche la tipica cucina americana, che forse è quella che, più facilmente, incontra i gusti locali: il tomawak, gli hamburger, le costine in salsa barbecue e, ora, anche il pulled pork, cotto a bassa temperatura. È sicuramente la ricetta più ardita e non convenzionale che abbia cucinato qui. Mi è stato chiesto da un amico di cucinare questa ricetta per una cena privata. Rock puro, per me.
Dal mio macellaio di fiducia ho recuperato una spalla di maiale, che ho disossato personalmente. Se, nell’ultimo decennio la tendenza nella ristorazione è stata quella di utilizzare il pre porzionato, acquistando tagli di carne già pronti, nell’ultimo anno o poco più sta tornando la voglia di utilizzare la bestia intera, incluso il quinto quarto. I coltelli giusti, la musica nelle orecchie, un mix di spezie selezionato e dosato, la teglia giusta, la marinatura…ma questa è un’altra storia.