Le cose che non si dicono.
Nell’ultima trasferta di lavoro a Parigi, per ragioni logistiche, ho fatto la spesa in loco, la domenica mattina, per iniziare a lavorare il lunedì. Arrivo nella capitale francese già carico di trolley e zainetto per una settimana di lavoro, con ulteriore trolley zeppo di materiale tecnico. Al mio arrivo, mi fermo a fare la spesa, riempiendo 4 sacchi enormi e un altro trolley di ingredienti vari, birra e acqua da portare in stand il giorno dopo. Avevo trascurato il banale dettaglio che avrei alloggiato in un elegante e modaiolo hotel nel Marais. Arrivare carico come uno sherpa e armato di sacchetti del Carrefour ed essere squadrato da un giovane concierge col sopracciglio alzato, proprio non ha prezzo. Avrà pensato, con ribrezzo, al solito barba che si porta il cibo in camera. Non contento, la mattina dopo esco con trolley e sacchi e mi dirigo verso l’uscita, dove vengo apostrofato dal converge con “check out monsier”? Tanto per completare la figura da straccione.
La trasferta in fiera in uno stipatissimo vagone della RER B, che arranca attraverso le banlieu è un altro momento indimenticabile: 40 minuti vissuti pericolosamente.
Ma anche a Milano non sono da meno. Negli ultimi lavori di dicembre ho aperto trolley da cui ho estratto, come un vero illusionista, alzatine in cristallo, miracolosamente illese, pungitopo e stelle di Natale intere, tovaglie e servizi di piatti, ma poi ci sono anche quei rari momenti in cui ti senti un re, caricando in taxi 12 panettoni e 4 kg di biscotti.